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Tito Flavio Vespasiano, l’uomo che non voleva essere imperatore
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Nato a ‘Vicus Phalacrine’, l’odierna Cittareale, nel Reatino, da una famiglia di esattori, fu proclamato imperatore dai soldati quando si trovava ancora in Oriente |
di
Lino Di Stefano
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Nei tragici anni – 68-69 – durante i quali Galba, Otone e
Vitellio si contendevano la ‘summa rerum’, un ‘homo novus’, proveniente dalla
Sabina, si affacciò sullo scenario della storia di Roma sebbene, è doveroso
rammentarlo, egli avesse già al suo attivo una carriera di tutto rispetto avendo
ricoperto le maggiori cariche quali quelle di edile, pretore, legato militare e
proconsole nei vari scacchieri come la Britannia, la Germania, l’Africa e la
Giudea; quest’ultima da lui sottomessa. In seguito, il figlio Tito conquistò e
distrusse Gerusalemme.
Un ragguardevole ‘cursus honorum’, com’è facile notare, questo
di Vespasiano, un percorso, cioè, che lo porterà, dal 69 al 79, a reggere le
redini del più grande impero del mondo. Nato a ‘Vicus Phalacrine’, l’odierna
Cittareale, nel Reatino, da una famiglia di esattori, fu proclamato imperatore
dai soldati quando si trovava ancora in Oriente e quando c’era bisogno, a Roma,
di un uomo risoluto, ovverosia di una persona onesta e in grado di riportare la
disciplina non solo fra i soldati, ma anche fra il popolo.
Qualità che egli, certamente, possedeva visto, altresì, che pur
rispettando le prerogative del Senato, da quest’ultimo espulse alcuni elementi
dell’aristocrazia evidentemente non degni di far parte di tale consesso formato
anche da onesti provinciali. Esperto della materia, Vespasiano intese risolvere
le questioni finanziarie quantunque costretto ad aumentare le imposte
revisionando il catasto.
Uomo semplice ed
onesto, sebbene un po’ attaccato al danaro, l’imperatore acquistò meriti in
molti campi e non solo in quello militare - mercé i rafforzamenti difensivi
lungo i fiumi Reno e Danubio - bensì pure in quello civile, artistico ed
edilizio mediante una serie di opere quali l’abbellimento di molti edifici, la
ricostruzione del Campidoglio, l’erezione del Tempio della Pace e l’inizio
dell’edificazione dell’Anfiteatro che, dal suo nome, fu chiamato Flavio anche
se, in seguito, si impose la dicitura di Colosseo.
Il poeta Valerio Marziale, nel suo poema ‘De spectaculis’, da
testimone oculare, così cantò, tra l’altro, la fondazione del Colosseo, una
delle più grandi meraviglie del mondo: «Barbara pyramidum sileat miracula
Memphis,/ Assyrius iactet nec Babylona labor (…)./ Omnis Caesareo cedit labor
amphitheatro,/ unum pro cunctis fama loquetur opus» (La Barbara Menfi non dica
nulla del miracolo delle piramidi/ né l’operosità assira esalti Babilonia (…)./
Ogni lavoro dell’uomo non regge al cospetto dell’anfiteatro imperiale, / la
celebrità vanterà quest’ultima realizzazione al posto delle
rimanenti”).
Il giudizio dei contemporanei
fu quasi sempre positivo nei riguardi dell’imperatore reatino e lo stesso
Tacito, nelle ‘Storie’, così parla dell’uomo che aveva scritto una lettera ai
‘patres conscripti’ e che si accingeva ad assumere la massima carica imperiale:
«Nec senatus obsequium deerat: ipsi consulatus cum Tito filio, praetura
Domitiano et consulare imperium decernuntur» (Aveva poi espressioni di ossequio
per il senato; gli viene decretato il consolato con il figlio Tito come collega.
A Domiziano vengono decretate la pretura e la potestà consolare. Trad. G. D.
Mazzocato).
In un altro luogo, il grande
storico romano con tali parole descrisse qualche titubanza del Sabino: «Sed in
tanta mole belli plerumque cunctatio; et Vespasianus modo in spem erectus,
aliquando adversa reputabat» (Ma in una situazione militare molto complessa,
spesso si esita: Vespasiano talvolta concepiva grandi speranze, talvolta vedeva
prevalere fattori avversi. Trad. G.D. Mazzucato).
Bella ed istruttiva, ancora, la conclusione dello storiografo,
al riguardo: «Esse privatis cogitationibus progressum, et prout velint, plus
minusve sumi ex fortuna: imperium cupientibus nihil medium inter summa aut
praecipitia» (Nelle vicende private si può procedere con gradualità e, secondo
la volontà di ognuno, rischiare di più o di meno: ma chi aspira al principato
non ha via di mezzo tra la vetta e l’abisso. Trad. G. D.
Mazzucato).
Un altro merito, non secondario,
dell’imperatore fu quello di far installare nell’Urbe le latrine pubbliche che,
dal suo nome, ancora oggi si chiamano, appunto, ‘vespasiani’, laddove ancora
oggi la città è sprovvista di tali attrezzature indispensabili per una
conduzione di vita conforme alle norme igieniche e alle regole della salute
pubblica.
Molti restano, infine, gli
aneddoti relativi a Tito Flavio Vespasiano; storielle conservateci, in
particolare, dallo storico latino Svetonio Tranquillo. In proposito, ne vogliamo
ricordare una tramandataci proprio da quest’ultimo. Inchiodato al letto e
consigliato dai parenti e dagli amici di non agitarsi per non peggiorare le sue
già compromesse condizioni di salute, egli così si espresse, parole di Svetonio:
«Lasciatemi fare! Un imperatore deve morire in piedi». Alla fine, mentre faceva
l’ultimo tentativo per mettersi in posizione eretta, si spense fra le braccia di
coloro che lo reggevano.
da 'il Giornale di Rieti'...
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domenica 7 febbraio 2016 |
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